sabato 24 marzo 2018

Salvini e Berlusconi, alleati diffidenti

Le elezioni per i presidenti delle due Camere hanno messo a serio rischio l'unità del centrodestra: l'intransigenza iniziale di Forza Italia sul nome di Paolo Romani come candidato alla presidenza del Senato, veniva superata dall'iniziativa di Salvini che senza consultarsi con gli alleati proponeva l'alternativa di Anna Maria Bernini. Il comunicato di Berlusconi che parlava apertamente di atto ostile e smascheramento dell'alleanza di governo tra Lega e Cinque Stelle sembrava poter condurre a una clamorosa e definitiva rottura. Poi le trattative notturne hanno portato a un riavvicinamento e alla convergenza sulla figura della Maria Elisabetta Alberti Casellati, poi eletta al più alto scranno di Palazzo Madama.
Si tratta di un episodio che tuttavia conferma le diffidenze esistenti tra Salvini e Berlusconi, con il giovane leader leghista scalpitante alla conquista di una leadership sempre più consolidata e l'ex cavaliere restio ad accettare un ruolo di secondo piano nella coalizione e timoroso di venire ulteriormente disarcionato dalle vigorose spallate dell'alleato. Resta da capire quanto potrà durare e rimanere solida una convivenza politica che già ad inizio legislatura manifesta evidenti scricchiolii.
Nel campo pentastellato Di Maio assistendo alle altrui scaramucce si è mosso con l'abilità di un consumato tattico: intuendo le iniziali resistenze ha dapprima proposto come cavallo di Troia il nome di Fraccaro per la presidenza della Camera, per poi puntare decisamente e con successo su Roberto Fico in teoria meno gradito agli avversari per il suo carattere movimentista, ma ben sapendo che la destra aveva interesse a chiudere i giochi nel timore che un eccessivo allungamento dei tempi portasse a bruciare tutti i propri candidati al Senato e a un contestale avvicinamento tra Cinque Stelle e Partito democratico.
Ora che le forze poltiche si sono annusate si apre la ben più importante partita per il governo del Paese, ma non è detto che gli accordi e i veti sinora proposti possano presentarsi inalterati. Anche perché sulla scena comparirà un nuovo determinante attore: il presidente della Repubblica Mattarella, la cui azione maieutica potrebbe risultare decisiva nel determinare il prossimo inquilino di Palazzo Chigi.

martedì 6 marzo 2018

Rebus governabilità per l'Italia post voto

Il principale verdetto delle elezioni politiche 2018 è l'assenza di una chiara maggioranza parlamentare. Era ampiamente prevedibile che questo potesse essere l'esito delle urne, in virtù dell'attuale assetto tripolare del sistema politico italiano e di una legge elettorale con un impianto prevalentemente proporzionale che favoriva un'ulteriore dispersione dei voti e dei seggi. Di conseguenza occorrerà un intenso lavoro di mediazione tra i partiti sotto la regia del presidente della Repubblica affinché si possa formare un governo capace di presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia. Il successo della Lega mette Salvini alla guida del centro destra ma non sarà facile trovare i circa 50 deputati e 20 senatori mancanti. Se si guarda ai numeri il compito dovrebbe essere ancora più complicato per il Movimento Cinque stelle che nonostante la grossa affermazione con oltre il 30% dei consensi, dovrebbe andare alla ricerca di almeno altri 90 deputati e 40 senatori. L'incertezza dello scenario potrebbe restituire un ruolo decisivo ai parlamentari di un Partito Democratico pur pesantemente ridimensionato. E' forte la prospettiva di un lungo periodo di ingovernabilità: per un Paese fragile come l'Italia, reduce da una pesante crisi economica, si tratta di un rischio che forse non ci si può permettere.

venerdì 2 marzo 2018

Restare cittadini, nonostante la cattiva politica

Ci stiamo lasciando alle spalle una campagna elettorale fatta di promesse irrealistiche e mirabolanti, attacchi personali, talvolta anche violenti nelle parole e nei gesti, con il comune denominatore dell'incapacità da parte delle forze politiche di offrire una visione del futuro credibile. Di fronte a cotanta mediocrità sarebbe comprensibile se l'elettore reagisse con atteggiamenti di scoraggiamento e abulia, che sarebbero tuttavia sbagliati se si traducessero nel rifiuto di esercitare il proprio diritto di voto. L'astensione sarebbe una rinuncia al proprio ruolo di cittadini, e qualora si manifestasse in modo massiccio indebolirebbe la democrazia. Invece è proprio nei momenti più difficili che in un Paese l'opinione pubblica fa sentire il proprio ruolo con una partecipazione incisiva e determinata. Andare a votare il 4 marzo significa non arrendersi all'idea di divenire sudditi di un futuro deciso da altri.