lunedì 5 novembre 2018

L'amor di Patria nell'era del caos globale

Qual'è il senso dell'Amor Patrio in questi anni confusi di nuovo millennio? La proposta di sostituire la festa della Liberazione del 25 aprile con la celebrazione del 4 novembre potrebbe indurre istintivamente a conferire al patriottismo accenti di chiusura nazionalista e sovranista. In realtà queste contrapposizioni appaiono strumentali a rinvigorire interessi politici di parte, e dunque a produrre maggiori divisioni di quelle che si vorrebbero evitare.
Tra il 25 aprile e 4 novembre non c'è antitesi ma un rapporto di continuità. Nel 1918 si è concluso il processo unitario con Trento e Trieste che divengono italiane; con la Liberazione dal nazifascismo si sono create le condizioni per l'affermazione nel nostro Paese della democrazia e del pluralismo. Queste due date simboleggiano contesti storici differenti in un processo che ha prodotto l'attuale Italia ed è per questo che entrambe meritano di essere ricordate. Il presidente Mattarella ricorda come l'Amore per la Patria sia quel legame che unisce Risorgimento e Resistenza. E' l'impegno per la libertà contro il dominio dallo straniero e l'oppressione della dittatura. E' l'affermazione dell'inviolabilità dei diritti dell'uomo che prevale contro l'estremismo nazionalista. E' la consapevolezza che solo un Paese con solide radici può guardare con coraggio e volontà di progresso alle sfide del mondo contemporaneo.

sabato 1 settembre 2018

La propaganda maschera il flop di Salvini sulla Diciotti

Il braccio di ferro ingaggiato da Salvini con l'Europa sulla vicenda della nave Diciotti ha portato ben modesti risultati per il nostro Paese. A dispetto di quanto affermato dal ministro dell'Interno la maggior parte dei migranti sono rimasti in Italia, ospitati dalla Cei che, giova ricordarlo, è pur sempre un'organizzazione finanziata in larga parte con i soldi, anche pubblici, degli italiani.
Gli unici Stati che hanno risposto positivamente, accogliendo 20 migranti ciascuno, sono stati la cattolica Irlanda, sopratutto in virtù della mediazione vaticana, e la vicina Albania che non è neppure facente parte dell'UE.
Per il resto la prova di muscoli condotta sulla pelle di disperati ( per lo più eritrei) ha prodotto un fallimentare isolamento diplomatico. Ciò nonostante i toni di Salvini continuano a riscuotere consenso: in un Paese spaventato e incattivito dall'insicurezza, le logiche della propaganda hanno il sopravvento sulle evidenze della realtà

domenica 3 giugno 2018

Dal 4 marzo al governo Conte. Pagella di una crisi istituzionale sfiorata.

Dopo quasi tre mesi vissuti sull'orlo di una crisi di nervi, l'Italia ha finalmente un governo in grado di poter operare nella pienezza delle sue funzioni. In un'altalena emotiva fatta di tatticismi, rilanci propagandistici, crisi istituzionali minacciate ma poi scongiurate, e con la prospettiva costante di un immediato ritorno alle urne è emersa con forza la figura di Sergio Mattarella.
Il presidente della Repubblica ha esercitato il suo ruolo alternando il bastone e la carota, mostrando pazienza per consentire alle forze politiche di trovare le necessarie convergenze, ma non esitando ad agitare lo spauracchio del governo tecnico per stimolarle ad assumersi le proprie responsabilità di fronte al Paese. L'episodio più controverso, su cui si sono divisi osservatori e costituzionalisti, è stato quello del rifiuto della nomina del professor Savona a ministro dell'economia a causa delle sue posizioni fortemente euroscettiche. A mio parere in tale circostanza la fermezza di Mattarella era opportuna: il presidente della Repubblica è il garante della solidità dell'ordinamento di cui l'euro è elemento strutturale. Se si voleva mettere in discussione la nostra partecipazione alla moneta unica europea bisognava farlo a partire dalla campagna elettorale,aprendo un dibattito in cui l'opinione pubblica potesse valutare in modo approfondito le conseguenze di una scelta così importante. Il piano per uscire all'improvviso dall'euro di cui il professor Savona è coautore non è compatibile con la necessità che l'Italia abbia sul tema una posizione chiara e trasparente. Le ambiguità e le incertezze possono costare molto caro , visto il pesante debito pubblico italiano e la necessità di chiedere in presto circa 400 miliardi all'anno per finanziare il funzionamento della macchina statale, a partire da servizi essenziali come la scuola, la sanità e l'ordine pubblico. Piuttosto, di fronte a una crisi così caotica il Quirinale avrebbe forse potuto essere più puntuale sul piano della comunicazione in modo da togliere qualsiasi alibi ai politici, ma nel complesso il presidente della Repubblica ha saputo garantire stabilità e autorevolezza alle istituzioni e per questo come voto si merita un bel 8.
Da segnalare anche il ruolo giocato da Carlo Cottarelli, che nella scomoda veste di presidente incaricato per pochi giorni, ha agito con discrezione e eleganza, e nel congedarsi ha ringraziato sottolineando come qualsiasi governo politico fosse meglio di un governo tecnico che traghettasse l'Italia di nuovo alle elezioni. A lui per aver mostrato uno spirito da servitore dello Stato: voto 9.
Matteo Salvini si è mosso con l'abilità di un consumato negoziatore e pur partendo da quasi la metà dei voti dei Cinque Stelle è riuscito a ritagliarsi un ruolo pesante nella squadra di governo, riservando alla Lega la scelta di ministeri chiave come gli Interni e l'Economia. Fino all'ultimo è rimasto tentato dall'opzione elettorale per monetizzare il consenso che i sondaggi davano in netta ascesa. Resta l'impressione che per lui sarà molto complicato il passaggio dalla modalità propaganda h24 a quella dello statista. Per lui voto 6,5.
Luigi Di Maio è l'autore dell'impeachement allo yogurt, scaduto 48 ore dopo essere stato proposto. Una delle scene più grottesche della storia repubblicana, dove la farsa si fa comunque preferire alla tragedia. Accortosi dello scivolone è tornato a Canossa, offrendo collaborazione a Mattarella e salvandosi in extremis con la proposta di dirottare Savona ad altro ministero. Dopo essersi mosso bene in campagna elettorale ha gestito male il post-voto. Confusionario: voto 5
Giorgia Meloni: anche lei è partita in quarta con la richiesta di impeachement per poi invertire la rotta, forse nella vana speranza di trovare all'ultimo momento uno spazio nel nascente governo. Ha replicato di Maio, con l'aggravante dell'irrilevanza. Voto 4.
Giuseppe Conte: professore e avvocato senza alcuna esperienza di incarichi politici e amministrativi, si ritrova ad essere presidente del Consiglio in un governo con due vicepresidenti piuttosto ingombranti. E' auspicabile che possa esercitare il suo ruolo come richiesto dall'articolo 95 Costituzione che gli conferisce la responsabilità della direzione della politica del governo. Saprà dirigere, o verrà diretto da Salvini e Di Maio? Nell'attesa di scoprirlo per lui un 6 di incoraggiamento.
Silvio Berlusconi: non ha nascosto il disagio per aver ceduto a Salvini la guida della coalizione di centro destra e alla fine ha dato il suo via libera alla Lega per l'alleanza di governo con i pentastellati. Ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco nella consapevolezza che un ritorno immediato al voto avrebbe fortemente penalizzato Forza Italia. Cerca di prendere tempo per sopravvivere politicamente. Voto 5,5
Partito Democratico: ostaggio delle solite divisioni interne, ha rinunciato ad esercitare qualsiasi ruolo nella crisi. Al momento la strategia politica elaborata dai suoi dirigenti è quella di mangiare i pop-corn. Voto: non pervenuto.

sabato 12 maggio 2018

Sovranismo e Costituzione secondo Mattarella

L'intervento con cui Mattarella ha invitato a non cedere alle lusinghe di una narrativa sovranista inattuabile è stato criticato in quanto considerato un'indebita intromissione nel contingente dibattito politico. In realtà le considerazioni del presidente della Repubblica sono aderenti al dettato Costituzionale che agli articoli 10 e 11 rammenta il dovere della Repubblica di conformare il suo ordinamento giuridico alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e l'opportunità di acconsentire a limitazioni della sovranità funzionali alla creazione di un ordine internazionale che assicuri la Pace e la Giustizia tra le Nazioni.
Quello di Mattarella è dunque un invito a ricordare come l'indirizzo dei padri costituenti, derivato dalla necessità di smarcarsi da scelte dominate dalla retorica di potenza e autarchia fascista che condussero al disastro l'Italia, rimane tutt'oggi quanto mai valido e anzi proprio la precarietà dell'attuale scenario globale dovrebbe indurre le forze politiche a valutare sull'opportunità che il nostro Paese non sia in balia di umori propagandistici ma sappia perseguire una strategia e una collocazione internazionale frutto di scelte meditate e di lungo periodo.

martedì 8 maggio 2018

L'appello di Mattarella contro la legislatura abortita

Dinanzi al gioco irresponsabile dei veti incrociati di cui la classe politica si è resa protagonista paralizzando le istituzioni, Mattarella ha rammentato i gravi rischi derivanti per il Paese da un immediato ricorso alle urne e ha contestualmente proposto una via d'uscita.
Il presidente della Repubblica ha sottolineato come andando al voto mantenendo inalterata l'attuale legge elettorale vi sarebbe un'elevata probabilità di replicare l'attuale stallo politico. Inoltre si restringerebbero i tempi per portare a discussione entro l'anno la legge di bilancio e disinnescare l'aumento dell'Iva e delle accise che avrebbe effetti recessivi per la nostra economia. Per di più un eventuale esercizio provvisorio esporrebbe le finanze pubbliche italiane ai rischi di attacco della speculazione finanziaria sui mercati internazionali. Infine l'assenza di un governo nel pieno esercizio delle sue funzioni condannerebbe l'Italia ad assistere da spettatrice alle decisioni da prendere nelle sedi internazionali e di Unione Europea, in particolare su temi caldi quali l'immigrazione e il nuovo bilancio europeo.
Mattarella ha offerto ai partiti l'alternativa di un governo di garanzia composto da personalità di spicco fuori dai giochi politici, che duri il tempo necessario a far approvare la legge di bilancio e che nel frattempo lasci salva la possibilità per gli schieramenti in Parlamento di trovare intese per costituire un governo pienamente politico.
L'immediato e sdegnoso rifiuto opposto da Cinque Stelle, Lega e Fratelli d'Italia all'iniziativa del Quirinale e il contestuale appello per un immediato ritorno al voto sono tristemente coerenti con il clima politico generale in cui la propaganda di parte appare soverchiare ogni logica di interesse nazionale. L'arte della mediazione viene travolta da un'indisponibilità al compromesso a sua volta funzionale a una narrazione del cambiamento che confligge però con una realtà politica immobile.
Le forze politiche che non riescono a far funzionare il Parlamento e non sono capaci di dare al Paese un governo tradiscono nei fatti quel mandato popolare che a parole dichiarano di voler rispettare con la loro inconcludente intransigenza. Qualora si concretizzasse lo scenario di nuove elezioni è dunque auspicabile che l'opinione pubblica eserciti con forza il proprio ruolo e chieda conto alla politica del fallimento di una legislatura mai nata.

lunedì 23 aprile 2018

La politica dei veti incrociati e la realtà del Paese

Salvini vorrebbe fare un governo con i Cinque stelle che però non intendono in alcun modo allearsi con Forza Italia. Berlusconi a sua volta guarda al Partito Democratico, ma è costretto a fare i conti con l'assoluta contrarietà leghista a rivolgersi allo schieramento verso le cui politiche ha fatto strenua opposizione in questi ultimi sette anni.
Sono trascorsi cinqquanta giorni dalle elezioni politiche ma la politica italiana si contorce su se stessa, sopraffatta dai veti incrociati, con un Parlamento immobilizzato dall'impossibilità di formare le commissioni, in attesa di conoscere gli equilibri tra maggioranza e opposizione ancora da definire, in un clima di perenne campagna elettorale amplificata dalle consultazioni regionali in Molise e Friuli Venezia Giulia.
Il presidente Mattarella richiama le forze politiche alla responsabilità di dare un esecutivo all'Italia, rammentando le incombenze dei fragili conti pubblici e la necessità di essere pronti ad affrontare le sfide internazionali ed europee. Sinora le sollecitazioni del Quirinale non hanno sortito effetto e così si allarga la distanza tra le istituzioni e le esigenze del Paese reale

sabato 24 marzo 2018

Salvini e Berlusconi, alleati diffidenti

Le elezioni per i presidenti delle due Camere hanno messo a serio rischio l'unità del centrodestra: l'intransigenza iniziale di Forza Italia sul nome di Paolo Romani come candidato alla presidenza del Senato, veniva superata dall'iniziativa di Salvini che senza consultarsi con gli alleati proponeva l'alternativa di Anna Maria Bernini. Il comunicato di Berlusconi che parlava apertamente di atto ostile e smascheramento dell'alleanza di governo tra Lega e Cinque Stelle sembrava poter condurre a una clamorosa e definitiva rottura. Poi le trattative notturne hanno portato a un riavvicinamento e alla convergenza sulla figura della Maria Elisabetta Alberti Casellati, poi eletta al più alto scranno di Palazzo Madama.
Si tratta di un episodio che tuttavia conferma le diffidenze esistenti tra Salvini e Berlusconi, con il giovane leader leghista scalpitante alla conquista di una leadership sempre più consolidata e l'ex cavaliere restio ad accettare un ruolo di secondo piano nella coalizione e timoroso di venire ulteriormente disarcionato dalle vigorose spallate dell'alleato. Resta da capire quanto potrà durare e rimanere solida una convivenza politica che già ad inizio legislatura manifesta evidenti scricchiolii.
Nel campo pentastellato Di Maio assistendo alle altrui scaramucce si è mosso con l'abilità di un consumato tattico: intuendo le iniziali resistenze ha dapprima proposto come cavallo di Troia il nome di Fraccaro per la presidenza della Camera, per poi puntare decisamente e con successo su Roberto Fico in teoria meno gradito agli avversari per il suo carattere movimentista, ma ben sapendo che la destra aveva interesse a chiudere i giochi nel timore che un eccessivo allungamento dei tempi portasse a bruciare tutti i propri candidati al Senato e a un contestale avvicinamento tra Cinque Stelle e Partito democratico.
Ora che le forze poltiche si sono annusate si apre la ben più importante partita per il governo del Paese, ma non è detto che gli accordi e i veti sinora proposti possano presentarsi inalterati. Anche perché sulla scena comparirà un nuovo determinante attore: il presidente della Repubblica Mattarella, la cui azione maieutica potrebbe risultare decisiva nel determinare il prossimo inquilino di Palazzo Chigi.

martedì 6 marzo 2018

Rebus governabilità per l'Italia post voto

Il principale verdetto delle elezioni politiche 2018 è l'assenza di una chiara maggioranza parlamentare. Era ampiamente prevedibile che questo potesse essere l'esito delle urne, in virtù dell'attuale assetto tripolare del sistema politico italiano e di una legge elettorale con un impianto prevalentemente proporzionale che favoriva un'ulteriore dispersione dei voti e dei seggi. Di conseguenza occorrerà un intenso lavoro di mediazione tra i partiti sotto la regia del presidente della Repubblica affinché si possa formare un governo capace di presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia. Il successo della Lega mette Salvini alla guida del centro destra ma non sarà facile trovare i circa 50 deputati e 20 senatori mancanti. Se si guarda ai numeri il compito dovrebbe essere ancora più complicato per il Movimento Cinque stelle che nonostante la grossa affermazione con oltre il 30% dei consensi, dovrebbe andare alla ricerca di almeno altri 90 deputati e 40 senatori. L'incertezza dello scenario potrebbe restituire un ruolo decisivo ai parlamentari di un Partito Democratico pur pesantemente ridimensionato. E' forte la prospettiva di un lungo periodo di ingovernabilità: per un Paese fragile come l'Italia, reduce da una pesante crisi economica, si tratta di un rischio che forse non ci si può permettere.

venerdì 2 marzo 2018

Restare cittadini, nonostante la cattiva politica

Ci stiamo lasciando alle spalle una campagna elettorale fatta di promesse irrealistiche e mirabolanti, attacchi personali, talvolta anche violenti nelle parole e nei gesti, con il comune denominatore dell'incapacità da parte delle forze politiche di offrire una visione del futuro credibile. Di fronte a cotanta mediocrità sarebbe comprensibile se l'elettore reagisse con atteggiamenti di scoraggiamento e abulia, che sarebbero tuttavia sbagliati se si traducessero nel rifiuto di esercitare il proprio diritto di voto. L'astensione sarebbe una rinuncia al proprio ruolo di cittadini, e qualora si manifestasse in modo massiccio indebolirebbe la democrazia. Invece è proprio nei momenti più difficili che in un Paese l'opinione pubblica fa sentire il proprio ruolo con una partecipazione incisiva e determinata. Andare a votare il 4 marzo significa non arrendersi all'idea di divenire sudditi di un futuro deciso da altri.