domenica 29 gennaio 2012

Ungheria: Viktor Orban, il baco dell'Europa democratica

Facendosi forza della maggioranza dei due terzi che ha nel Parlamento ungherese ( con il suo partito Fidesz in coalizione in coalizione con il partito popolare democratico-cristiano), Victor Orban, primo ministro d'Ungheria dal 2010, poteva modificare la Costituzione a proprio piacimento , e non si è fatta sfuggire questa opportunità. Entrata in vigore 2 gennaio, la nuova Costituzione sostiene il dominio della destra nazionalista, indebolendo gli strumenti di controllo democratico - l'alternanza di governo, la giustizia,la Corte costituzionale e la Banca centrale. La riforma della Banca centrale, che perderebbe la sua indipendenza nei confronti del governo, mette il paese in una situazione economica imbarazzante. Parte dei titoli di Stato restano invenduti e e discussioni con il FMI e l'UE su un eventuale credito da 15 a 20 miliardi di euro sono in fase di stallo a causa di questa riforma.
Inoltre il fiorino diventa costituzionalmente la valuta ungherese, in pratica bloccando il passaggio all'euro. Viene sancito costituzionalmente che l'unico matrimonio legale è quello che unisce un uomo e una donna. I senza fissa dimora potranno essere arrestati. Il Parlamento ha anche adottato un emendamento al suo regolamento, che dà alla maggioranza il diritto di modificare l'agenda dei lavori e approvare le leggi senza dibattito.
Particolarmente allarmante anche la legge sui media che prevede una stretta alla libertà dei giornalisti esteri che rischiano il carcere per ciò che scrivono, l'assegnazione delle frequenze radio e tv che ne ha aumentato il prezzo e ha stabilito dei limiti al numero di ore di informazione da programmare nelle radio: misure volte a penalizzare in particolare Klubradio, la principale voce non asservita al governo. Mentre il servizio pubblico e l'agenzia stampa MTI vengono gestite da un consiglio controllato dal governo. L'Unione europea ha minacciato sanzioni: sperando che si passi dalle minacce ai fatti nel caso in cui Orban non si dia per inteso, c'è da rilevare il dei trattati europei che non prevedono l'espulsione degli Stati membri nel caso di flagranti e ripetute violazioni.

giovedì 26 gennaio 2012

L'abolizione del valore legale della laurea e le priorità dell'università

Insistenti voci di corridoio parlano di un imminente decreto del governo Monti che eliminerebbe il valore legale della laurea. Nell'intenzione del proponente si tratterebbe di una misura volta a eliminare una rigidità che attualmente mette sullo stesso piano gli atenei in cui si fa ricerca e didattica seriamente, e i diplomifici sorti negli ultimi decenni per dare il pezzo di carta anche agli asini, purché avessero i soldi per pagarselo.
Ma chi ha creato i presupposti per questa giungla accademica è stato proprio lo Stato che non si è mai impegnato nel dettare e ne far rispettare standard minimi di qualità per la creazione di corsi universitari. Da qui il proliferare delle università telematiche con inesistente attività di ricerca, dei corsi di laurea con piani di studio improbabili frequentati da uno-due studenti, dei nepotismi e dei trucchi nell'assegnazione delle cattedre. Quanto la laurea sia svalutata lo sanno bene i giovani che si affacciano al mondo del lavoro.
Ma siamo proprio sicuri che nelle condizioni pietose in cui versa il sistema universitario italiano abolire il valore legale della laurea rappresenti una soluzione? O forse aumentando ulteriormente la discrezionalità non si mortificherebbe ancora di più il merito favorendo ulteriori abusi e clientele nei concorsi pubblici? Se un candidato effettua le prove meglio di tutti ma ha la sventura di non essersi potuto permettere un università di eccellenza, perché dovrebbe perdere il concorso a favore di chi si è dimostrato meno preparato ma ha acquisito punteggio in virtù dell'ateneo di provenienza?
Ad ogni modo si può anche arrivare ad abolire il valore legale della laurea, ma avrà senso farlo solo dopo aver seriamente affrontato i problemi interni al mondo universitario a partire dall'assegnazione meritocratica delle risorse pubbliche. A un governo dei professori è doveroso chiedere molto di più proprio su questi temi: eliminare con un tratto di penna il valore legale dei titoli equivale a lavarsene le mani.

martedì 24 gennaio 2012

La Costa Concordia, il potere, il mercato e le regole del buon senso

Con il tragico nubifragio della Costa Concordia chi come me non è lupo di mare ha appreso che le navi da crociera fanno inchini, slalom tra le isole e altre manovre azzardate e ovviamente fuori dalla regole.
Talvolta si tratta di licenze ( assai poco poetiche) che si prendono i comandanti delle navi. Quello di Schettino rappresenta un caso emblematico delle libertà che si concedono in Italia i detentori del potere, pronti a raccontare balle per giustificare la propria incapacità e a darsela a gambe quando l'imprevisto volge al peggio.
Altre volte però sono proprio i clienti alla ricerca di forti emozioni a chiedere di avvicinarsi troppo alla costa. Bisognerebbe avere il coraggio di rifiutarsi, di privilegiare alle esigenze del mercato quelle della sicurezza. Ma quando prevale la mentalità del considerare le regole un fastidio o addirittura un intralcio, ecco che far prevalere il buon senso diventa utopia. Chi trasgredisce le regole diventa un furbo da ammirare. E' stato così per gli evasori del fisco che hanno avuto per complici le persone che non chiedevano la fattura. Ora di fronte alle manovre "lacrime e sangue" ci si comincia ad accorgere di quanto sia salato il prezzo da pagare per aver tollerato tanto a lungo questi comportamenti.
un mio vecchio professore diceva che la società è come un incrocio stradale: bisogna stabilire come si deve circolare per prevenire gli incidenti. Ma se le regole diventano ostacoli da aggirare, è più facile andare contro gli sciogli che affiorano all'improvviso e inabissarsi come la Costa Concordia.

mercoledì 18 gennaio 2012

Bot in calo e spread sempre alto: la credibilità di Monti, dell'Italia e le domande dei mercati

Bot e spread per ora non parlano la stessa lingua: Per i Bot a un anno l'asta di novembre aveva portato i rendimenti dei titoli a breve termine al 6,087% ma a gennaio gli interessi sono crollati al 2,735%. Lo spread che misura la differenza di rendimento tra titoli decennali italiani e tedeschi ha registrato un calo ben più limitato: dai 575 punti base di novembre si oscilla attualmenre attorno ai 500 punti base ( in queste ore siamo sui 470)
Come mai questa differenza? I rendimenti di Bot a un anno e Btp a dieci anni posso essere visti rispettivamente come una misura della fiducia a breve e a lungo termine di cui gode il nostro sistema politico- economico-finanziario. A novembre con le dimissioni del governo Berlusconi si era in pieno marasma istituzionale; oggi si è constatato che l'Italia può nell'immediato onorare i suoi impegni e si è riconosciuto che con alcuni provvedimenti presi il governo Monti si è mosso nella direzione giusta . Intendiamoci, la strada è ancora in ripida salita: rimane da affrontare il nodo della crescita, ma i segnali di serietà dati hanno invogliato gli investitori a puntare sui Bot che quindi sono calati di rendimento.
Invece restano profondi dubbi riguardo alla nostra solidità tra dieci anni visto l'enorme carico di debito pubblico da sopportare. Le diffidenze riguardano anche la nostra classe dirigente: terminata la parentesi del governo tecnico, l'Italia timonata dai politici proseguirà la stessa rotta virtuoso oppure tornerà a impantanarsi nelle secche della litigiosità e dell'incapacità di decidere?
In definitiva per ora i mercati finanziari si sono dati una risposta ben precisa: Monti è affidabile, l'Italia ancora no.

venerdì 13 gennaio 2012

La Corte costituzionale, il Porcellum, il capopolo Di Pietro e il boicottaggio del referendum Passigli

La Consulta ha bocciato i due referendum anti-Porcellum. L'amarezza dei cittadini che speravano di liberarsi di una legge oscena è ampiamente comprensibile ma non è sostenuta sul piano del diritto. La Corte Costituzionale ha infatti agito coerentemente con la sua sua giurisprudenza: una legge elettorale non può essere cancellata per intero come chiedeva il primo quesito referendario, nè in parte se ciò comporta la reviviscenza di una legge già abrogata( in questo caso il Mattarellum) a cui invece puntava il secondo quesito con la cancellazione delle 72 modifiche apportate dal Porcellum alla normativa precedente.
La certezza del diritto è il principio fondamentale entro cui si è mossa la Corte. E da giurista ne è pienamente consapevole Antonio Di Pietro che pure dopo aver sostenuto demagogicamente dei quesiti pasticciati, cerca di sfruttare il comprensibile malumore popolare per scagliarsi contro la stessa Corte e il Capo dello Stato che invece nel loro ruolo di istituzioni di garanzia hanno avuto il merito di tenere l'Italia, in questo periodo di tempesta, sulla giusta rotta dello Stato di diritto. Un atteggiamento irresponsabile e populista, quello del leader dell'IDV, che dovrebbe fare riflettere i cittadini amanti della vera democrazia. Tanto più che i due referendum farsa hanno finito per oscurare la proposta referendaria Passigli-Ferrara che proponendo l'abolizione di singoli e ben determinati aspetti del Porcellum ( le liste bloccate, il premio di maggioranza e la designazione del premier) aveva notevoli speranze di superare il vaglio della Corte. Anche sul mistero del boicottaggio dell'unica seria proposta referendaria varrebbe la pena di interrogarsi.
Democrazia e rappresentanza che però restano largamente offese dall'attuale legge elettorale che costringe i cittadini a dover scegliere ( si fa per dire) tra coalizioni abborracciate e composte da nominati delle segreterie di partito. E qui sussiste l'unico appunto che si può fare ai giudici costituzionali: non aver avuto il coraggio di opporre l'incostituzionalità dell'attuale normativa per costringere il Parlamento a farne una più decente. C'è da sperare che gli onorevoli agiscano in tale direzione non spinti tanto da un autonomo sussulto di dignità, ma dalla consapevolezza che il malessere dei cittadini si sta per trasformare in disubbidienza e rivolta civile.